I disabili, i più diseguali nella crescita delle diseguaglianze sociali
Le persone disabili saranno 4,8 milioni nel 2020.
Dopo la scuola, destinate all'invisibilità. Ha un lavoro solo il 31,4% delle
persone Down con più di 24 anni, appena il 10% degli autistici over 20. E in
Italia la spesa pubblica (437 euro pro-capite all'anno) è molto inferiore a
quella media europea (535 euro)
Aumentano di numero, ma sotto traccia, senza
un'immagine e un'identità precisa. Il Censis stima, facendo riferimento alla percezione soggettiva, una
percentuale di persone con disabilità pari al 6,7% della popolazione totale,
cioè complessivamente 4,1 milioni di persone. Nel 2020 arriveranno a 4,8
milioni (il 7,9% della popolazione) e raggiungeranno i 6,7 milioni nel 2040 (il
10,7%). Eppure l'universo delle disabilità non riesce a uscire dal cono d'ombra
in cui si trova, non solo nelle statistiche pubbliche (i dati ufficiali
dell'Istat sono fermi al 2005), ma anche nell'immaginario collettivo e nel
linguaggio comune. Un italiano su 4 afferma che non gli è mai capitato di avere
a che fare con persone disabili. E la disabilità è percepita da 2 italiani su 3
essenzialmente come limitazione dei movimenti, mentre in realtà la disabilità
intellettiva è più diffusa in età evolutiva e rappresenta l'aspetto più
misconosciuto, al limite della rimozione.
Anche i disabili crescono. Quando poi avanzano nell'età, le persone con disabilità intellettiva
sono ancora più invisibili. Oggi in Italia le persone con sindrome di Down sono
circa 48.000, di cui solo il 21% ha fino a 14 anni. La fascia d'età più ampia è
quella da 15 a 44 anni, pari al 66%, e il 13% ha più di 44 anni. L'aspettativa
di vita alla nascita è di 61,6 anni per i maschi e di 57,8 anni per le femmine.
Le persone affette da disturbi dello spettro autistico si stimano pari all'1%
della popolazione, circa 500.000.
I disabili minori, ovvero l'inclusione incompiuta. Il modello di risposta alla disabilità del nostro welfare si basa in
modo informale sulla famiglia, che non solo diventa il soggetto centrale della
cura, ma spesso viene anche coinvolta nello stesso percorso di marginalità e
isolamento che tende ad accentuarsi quando le persone disabili crescono. Fino
alla minore età, le famiglie possono contare su uno dei pochi, se non l'unico,
punto di forza della risposta istituzionale alla disabilità, cioè l'inclusione
scolastica, che pur con tutti i suoi limiti e difficoltà rappresenta
un'importante occasione di inclusione sociale. Il numero di alunni disabili
nella scuola statale è cresciuto dai 202.314 dell'anno scolastico 2012/2013 ai
209.814 del 2013/2014 (+3,7%). Contemporaneamente è aumentato il numero dei
docenti di sostegno: dai 101.301 del 2012/2013 ai 110.216 del 2013/2014
(+8,8%). Secondo un'indagine del Censis, i bambini Down in età prescolare che
frequentano il nido o la scuola dell'infanzia sono l'82,1%, tra i 7 e i 14 anni
l'inclusione scolastica raggiunge il 97,4%, ma già tra i 15 e i 24 anni la
percentuale scende a poco meno della metà, anche se l'11,2% prosegue il
percorso formativo a livello professionale. Tra i ragazzi affetti da disturbi
dello spettro autistico, fino a 19 anni è il 93,4% a frequentare la scuola, ma
il dato scende al 67,1% tra i 14 e i 20 anni, e arriva al 6,7% tra chi ha più
di 20 anni.
Dopo la scuola: tutti a casa. Il destino dei ragazzi ormai grandi che escono dal sistema scolastico è
sintetizzabile con una parola: dissolvenza. Oltre l'età scolastica, gli adulti
Down e autistici scompaiono nelle loro case, con ridottissime opportunità di
inserimento sociale e di esercizio del loro diritto alle pari opportunità. Nel
mondo del lavoro l'inclusione è pressoché inesistente. Ha un lavoro solo il
31,4% delle persone Down over 24 anni. E la maggioranza di quelli che lavorano
(oltre il 60%) non è comunque inquadrata con contratti di lavoro standard.
Nella maggior parte dei casi lavorano in cooperative sociali, spesso senza un
vero e proprio contratto. In oltre il 70% dei casi non ricevono nessun compenso
o ne percepiscono uno minimo, comunque inferiore alla normale retribuzione per
il lavoro che svolgono. Ancora più grave è la situazione per le persone
autistiche: a lavorare è solo il 10% degli over 20.
La delega alla famiglia: dalle istituzioni
soprattutto soldi, ma meno che nel resto d'Europa (e meno del 6% in servizi). I disabili adulti rimangono in carico alla responsabilità delle loro
famiglie, con sostegni istituzionali limitati, focalizzati quasi esclusivamente
sul supporto economico. Anche in questo caso, però, dal confronto con gli altri
Paesi europei emerge che la spesa per le prestazioni di protezione sociale per
la disabilità, cash e in natura, è pari a 437 euro pro-capite all'anno,
superiore solo al dato della Spagna (404 euro) e molto inferiore alla media
europea di 535 euro (il 18,3% in meno). Colpisce quanto poco sviluppata sia la
spesa per i servizi in natura, che rappresenta solo il 5,8% del totale, cioè 25
euro pro-capite annui, meno di un quinto della media europea e inferiore anche
al dato della Spagna. Le opportunità di accesso ai servizi si riducono per i
disabili adulti. Tra le persone Down di 25 anni e oltre, il 32,9% frequenta un
centro diurno, ma il 24,3% non fa nulla, sta a casa. Tra le persone con autismo
dai 21 anni in su, il 50% frequenta un centro diurno, ma il 21,7% non svolge
nessuna attività. Tra le ore dedicate all'assistenza diretta e quelle di
semplice sorveglianza, i genitori delle persone autistiche e delle persone Down
spendono complessivamente 17 ore al giorno. La valorizzazione economica di
questo tempo (equiparando le ore di assistenza a quelle retribuite con il
minimo tabellare di un assistente sanitario e quelle di sorveglianza al
compenso di un collaboratore domestico) arriva a una cifra annua davvero
consistente: circa 44.000 euro per famiglia nel caso delle persone Down e circa
51.000 euro per le persone affette da disturbi dello spettro autistico. La
portata dell'impegno familiare nella gestione assistenziale delle disabilità
emerge con crudezza da questi dati, soprattutto se si pensa al valore contenuto
del Fondo per la non autosufficienza da poco rifinanziato, che ammonta per il
2014 a soli 340 milioni di euro ripartititi tra le Regioni per sviluppare i
servizi integrati socio-assistenziali e sanitari e la domiciliarità.
Il «dopo di noi»: quale futuro senza le famiglie? Nel tempo aumenta il senso di abbandono delle famiglie e cresce la quota
di quelle che lamentano di non poter contare sull'aiuto di nessuno pensando
alla prospettiva di vita futura dei propri figli disabili. Mentre tra i
genitori di bambini e ragazzi Down fino a 15 anni la quota di genitori che
pensa a un «dopo di noi» in cui il proprio figlio avrà una vita autonoma o
semi-autonoma varia tra il 30% e il 40%, tra i genitori degli adulti la
percentuale si riduce al 12%. La quota di genitori di bambini e adolescenti
autistici che prospettano una situazione futura di autonomia anche parziale per
i loro figli (23%) si riduce ancora più drasticamente (5%) tra le famiglie che
hanno un figlio autistico di 21 anni e più.
Questi sono i
risultati del 3° numero del «Diario della transizione» del Censis, che ha
l'obiettivo di cogliere e descrivere i principali temi in agenda in un
difficile anno di passaggio attraverso una serie di note di approfondimento
diffuse nella primavera-estate del 2014. I numeri precedenti sono stati:
«L'austerity ha stancato gli italiani: sobri sì, asceti no» (28 aprile),
«Crescono le diseguaglianze sociali: il vero male che corrode l'Italia» (3
maggio).
Fonte: Censis 17 maggio 2014