XII RAPPORTO SULLE POLITICHE
DELLA CRONICITà DI CITTADINANZATTIVA
Tra costi elevati e difficoltà in ambito
lavorativo, curasi non è più permesso. Presentato
il XII Rapporto sulle politiche della cronicità di Cittadinanzattiva
Avere una o più patologie croniche o
rare, o accudire una persona malata, è diventato oggi un “lusso” che non ci si
può più permettere, perché i costi diretti ed indiretti della malattia
risultano insostenibili per un numero crescente di pazienti e di famiglie. E
l’estremo risultato è non solo non curarsi nella maniera adeguata, ma
addirittura “nascondere” la propria patologia in alcuni contesti, fra cui
quello lavorativo.
Sul piano sociosanitario, emerge una
assistenza, soprattutto a livello di accesso ai farmaci, a macchia di leopardo,
con regioni più avanti e altre che stentano a assicurare anche i LEA, mentre i
tagli incidono maggiormente sull’assistenza domiciliare e sulla riabilitazione.
A descrivere questa situazione è il XII Rapporto nazionale sulle
politiche della cronicità, dal titolo “Permesso di cura”, presentato oggi a
Roma dal Coordinamento nazionale delle Associazioni dei malati cronici (CnAMC)
di Cittadinanzattiva.
“Ritardare o rinunciare alle cure
necessarie, perdere il posto di lavoro, confrontarsi con la crisi dei redditi
familiari e con le discriminazioni regionali nell’accesso alle prestazioni
socio sanitarie è ciò che vivono sulla propria pelle i cittadini grazie ad anni
di politiche di disinvestimento del Welfare e di erosione dei diritti. Non
possiamo accettare che per “fare cassa” si continui a smantellare il SSN o
peggio ancora a svendere i diritti dei cittadini alla salute, al lavoro e
all’inclusione sociale”, ad affermarlo Tonino Aceti, coordinatore nazionale del
Tribunale per i diritti del malato e responsabile del CnAMC di
Cittadinanzattiva. ”Chiediamo al Governo e al Parlamento un’azione concreta, a
partire dalla Legge di Stabilità in discussione, eliminando l’insopportabile
misura prevista dalla L. 214/2011 e dal nuovo regolamento ISEE secondo cui i
trattamenti assistenziali come indennità di invalidità civile e di
accompagnamento sono considerati “fonti di reddito” e quindi da considerare nel
computo dei redditi familiari. Chiediamo inoltre al Governo e alle Regioni di
avviare un confronto anche con le Associazioni di cittadini e di pazienti sia
sul Patto per la Salute, sia sulla prossima Spending review, che rappresentano
le vere partite per il nostro Servizio Sanitario Nazionale. Non vogliamo
infatti correre il rischio che queste misure possano comportare un’ulteriore
compressione di tutele e di diritti.
Ricordiamo al Governo che i cittadini
hanno già dato tanto e sono invece ancora in attesa di ricevere quanto è stato
previsto e promesso anche da leggi. Pensiamo solo all’aggiornamento dei Livelli
Essenziali di Assistenza, al palo da oltre 10 anni, e che dovrebbe prevedere,
tra l’altro, la revisione del Nomenclatore tariffario delle protesi e degli
ausili e degli elenchi delle patologie croniche e rare esenti“
L’84% delle associazioni dichiara che i
pazienti non riescono a conciliare l’orario di lavoro con le esigenze
di cura ed assistenza, al punto che nel 63% dei casi hanno ricevuto
segnalazioni di licenziamenti o mancato rinnovo del rapporto lavorativo per le
persone con patologie croniche e invalidanti e nel 41% dei casi per i familiari
che li assistono. Il 60% ha riscontrato difficoltà nella concessione dei
permessi retribuiti, il 45% nella concessione del congedo retribuito di due
anni; il 49% evita di prendere sul lavoro permessi per cura, il 43% nasconde la
propria patologia e il 40% si accontenta di eseguire un lavoro non adatto alla
propria condizione lavorativa.
L’assistenza sociosanitaria costa e non
si può rischiare di perdere il posto di lavoro: il 54% ritiene troppo
pesante o oneroso il carico assistenziale non garantito dal Servizio sanitario
nazionale. Si spendono in media 1585 euro all’anno per tutto ciò che serve
alla cosiddetta prevenzione terziaria (diete particolari, attività fisica,
dispositivi e tutto ciò che è utile per evitare le complicanze), più di 1.000
euro per visite ed esami a domicilio, o ancora in media 3711 euro l’anno per
adattare la propria abitazione alle esigenze di cura. Chi non può pagare, in
una percentuale che arriva anche all’80% di chi è in cura, rinuncia alla
riabilitazione, al monitoraggio della patologia, ad acquistare i farmaci non
dispensati, alla badante, all’acquisto di protesi e ausili non passati
dal servizio sanitario nazionale.
Spese medie annuali a carico del
paziente
Badante
|
9.082 euro
|
Retta strutture residenziali o
semiresidenziali
|
7.390 euro
|
Adattamento della abitazione
|
3.711 euro
|
Prevenzione terziaria (diete,
att.fisica)
|
1.585 euro
|
Supporto psicologico
|
1.247 euro
|
Assistenza domiciliare non coperta dal
SSN
|
1.070 euro
|
Parafarmaci (creme, integr.alimentari,
pomate)
|
901 euro
|
Dispositivi medici (assorbenti,
cateteri, siringhe, sacche)
|
737 euro
|
Farmaci non rimborsati
|
650 euro
|
Visite ed esami in intramoenia o nel
privato
|
Oltre 600 euro
|
Protesi ed ausili
|
537 euro
|
Fonte: XII
Rapporto CnAMC-Cittadinanzattiva
La prevenzione, eterna cenerentola
Il 53% delle Associazioni non ritiene
sufficiente la prevenzione primaria (corretti stili di vita); il 60% considera
inadeguata o del tutto carente la prevenzione secondaria (interventi per una
diagnosi precoce e per la riduzione del danno). Per la prevenzione terziaria
(relativa alle complicanze) sale al 64% la percentuale delle Associazioni che
ritengono non si faccia.
Anche chi si impegna personalmente nella prevenzione, riconoscendone
l’importanza, ha difficoltà ad accedere alle visite specialistiche o esami
diagnostici necessari nel 66% dei casi e l’89% è, quindi, costretto a sostenere
costi privati per accedere a queste prestazioni.
La diagnosi troppo spesso in ritardo
Il 75% delle Associazioni dichiara di
aver ravvisato ritardi diagnostici nella propria patologia di riferimento. Il
sospetto diagnostico viene formulato generalmente dallo specialista di
riferimento (67%) e solo nel 20% dei casi dal Medico di Medicina Generale che
si interfaccia con lo specialista solo per il 59% delle associazioni.
Si può attendere, quindi, otto anni in
media per una diagnosi di endometriosi o cinque per la diagnosi di Lupus
Eritematoso Sistemico. C’è addirittura chi ha atteso 33 anni per la diagnosi
della sindrome di Bechet. Le cose non vanno meglio per i tempi medi: c’è chi
attende al massimo un anno, ma anche chi in media attende dai due ai sei anni.
In generale dipende dal medico che incontri o dal trovarsi al Nord o al Sud.
Invalidità civile, l’odissea continua
Crescono le difficoltà per vedersi
riconosciuti l’handicap grave (L 104/92, +44% rispetto al 2011) e il
contrassegno per invalidi (+21% rispetto al 2011), così come aumentano le
difficoltà di accesso alla invalidità (+16%). Il 68% delle associazioni, a
distanza di oltre due anni dall’entrata in vigore della nuova legge, non
riscontra né semplificazione né riduzione nei tempi per il riconoscimento:
il 65% afferma che i propri associati sono costretti a sottoporsi a doppia
visita di accertamento, presso la ASL e l’INPS, anche perché il medico INPS
continua a non essere integrato nella commissione di accertamento nel 45% dei
casi. Le convocazioni a visita di verifica avvengono in maniera non regolare
per il 41% delle associazioni, attraverso sms (59%), lettera semplice (47%) o
addirittura messaggi lasciati in segreteria (12%).
Una Italia a più velocità
L’assistenza farmaceutica, quella
protesica, così come l’assistenza domiciliare e la riabilitazione sono erogati
nel nostro Paese a macchia di leopardo. Anche i percorsi diagnostici
terapeutici e i registri di patologia (che indicano il numero di
pazienti, suddivisi per patologia e regione di residenza) sono poco diffusi e
segnalati principalmente al Nord.
Il 61% delle Associazioni dichiara di
avere difficoltà di accesso all’assistenza farmaceutica in alcune regioni. Le
principali criticità riguardano i tempi eccessivamente lunghi per
l’autorizzazione all’immissione in commercio da parte dell’AIFA (50%), il costo
dei farmaci non rimborsati dal SSN in fascia C (44%), le limitazioni da parte
dell’Aziende ospedaliere o dalle ASL per motivi di budget ed i tempi di
inserimento dei farmaci nei Prontuari regionali diversi da regione a regione
(41%). Il 39% delle Associazioni, ancora, ha riscontrato l’interruzione o il
mancato accesso a terapie perché particolarmente costose.
L’assistenza domiciliare integrata è
adeguata alle esigenze di cura solo in alcune regioni (44%).Il principale
problema in questo ambito è l’assenza di un supporto psicologico (41%) seguito
dalla mancanza di alcune figure professionali (38%) e da un numero di ore di assistenza
insufficienti (29%).
Anche la riabilitazione risente
fortemente delle differenze regionali. Infatti risulta adeguata, ma solo in
alcune regioni per il 65% delle Associazioni. La principale criticità riguarda
i tempi di attesa incompatibili e la mancanza di posti letto e strutture (77%).
Particolarmente critica la durata del ciclo riabilitativo, considerata inadeguata
dal 73% delle Associazioni.
Le principali proposte:
·
prevedere all’interno del Patto per la
salute 2013-2015 in discussione l’impegno a realizzare un Piano di
azione nazionale sulle patologie croniche;
·
approvare il Piano nazionale
sulle malattie rare 2013-2016;
·
istituire i Registri nazionali
di patologia, per ciascuna di esse;
·
implementare lo sviluppo di PDTA nazionali
in grado di garantire livelli uniformi di assistenza socio-sanitaria su tutto
il territorio nazionale;
·
garantire un accesso equo, tempestivo ed
uniforme alle terapie farmacologiche, nonché la partecipazione delle
Organizzazioni civiche e dei pazienti ai processi decisionali nazionali e
regionali inerenti l’assistenza farmaceutica
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il rapporto
Fonte:
Venerdì, 13 Dicembre 2013