Infezioni
resistenti in Europa come conseguenza biologica della globalizzazione. Studio ECDCEuropean Centers for Disease Control and Prevention
I viaggi transcontinentali non muovono solo persone e
merci ma sono veri e propri fattori di contaminazione tra mondi biologicamente
diversi. Il contatto con l’altro può avere conseguenze imprevedibili e
potenzialmente letali, come fece notare tra i primi lo storico Alfred Crosby
nel suo “The Columbian Exchange” del 1972. Crosby introdusse l’elemento
biologico nell’analisi storica, illustrando l’impatto che ebbero alcune
malattie, portate nelle Americhe dai conquistadores spagnoli, nel ridurre al
minimo la resistenza delle popolazioni indigene, decimate da infezioni contro
cui non disponevano di difese efficaci.
“Quando l’isolamento del Nuovo Mondo venne infranto”
scrive Crosby “e Colombo mise insieme le due metà del pianeta, l’indiano americano incontrò
per la prima volta il suo nemico più odioso: né l’uomo bianco, né il suo
servitore nero, ma i virus che quegli uomini trasportavano nel sangue e nel
fiato”.
Vaiolo, malaria e altre malattie comuni nell’Europa del
1491 erano armi di distruzione di massa che giocarono un ruolo determinante nella
conquista di imperi di enormi dimensioni, come quelli degli Inca e degli
Aztechi, da parte di eserciti costituiti da poche centinaia di soldati.
La migrazione attraverso i continenti di batteri e virus
sembra aver trovato oggi un alleato ideale nella globalizzazione e nelle
illimitate possibilità offerte dal turismo.
In uno studio pubblicato
su “Eurosurveillance”, la rivista scientifica degli European Centers for
Disease Control and Prevention (ECDC), un gruppo di ricercatori francesi ha
chiesto a 574 viaggiatori che erano in procinto di recarsi in aree sub
-tropicali di donare dei campioni di feci prima della partenza e immediatamente
dopo il ritorno. In tre di questi campioni, sui 57 che in totale avevano scelto
l’India come meta, al ritorno sono stati riscontrati batteri Escherichia coli che trasportavano il DNA che
conferisce la resistenza agli antibiotici-
I viaggiatori sani erano diventati portatori di batteri Gram negativi produttori di carbapenemasi (CPE). Si tratta di microrganismi che
hanno sviluppato forti resistenze ai farmaci, in particolare agli antibiotici
carbapenemici, utilizzati per curare le infezioni complesse in pazienti con un
quadro clinico grave. La loro capacità di resistere a trattamenti considerati
come l’ultima opzione terapeutica, ha fatto scattare in tutto il mondo lo stato
di allerta per la salute pubblica.
I tre viaggiatori francesi, secondo quanto riporta lo
studio, hanno compilato un questionario in cui dichiaravano di non essere
entrati in contatto con alcuna struttura sanitaria indiana.
Il “viaggiatore 1”, una donna sulla cinquantina, aveva
attraversato l’India per 17 giorni da sola zaino in spalla. Dopo il ritorno a
casa non aveva manifestato alcun disturbo digestivo, non aveva assunto
antibiotici e non aveva ricevuto cure mediche mentre era in viaggio. Nei
campioni di feci Etienne Ruppe e la sua equipe hanno trovato quattro batteri
del genereEscherichia coli fenotipicamente
distinti, tra cui uno che aveva prodotto fattori di resistenza agli antibiotici
(CTX- M 1 e OXA - 181 carbapenemasi). Un mese dopo il ritorno, attraverso un
nuovo esame, era stato rilevato un gruppo che mostrava una forma ancora diversa
di resistenza. A due mesi dal rientro il campione era risultato negativo.
Il “viaggiatore 2” invece era una donna di trent'anni che
aveva visitato il nord dell'India per 10 giorni nel mese di novembre 2012 e
anche lei non aveva riferito di disturbi digestivi, assunzione di antibiotici o
contatti con il sistema sanitario locale. I campioni raccolti al suo ritorno,
analizzati sulla piasta di Petri erano risultati negativi, ma un esame
successivo col metodo del brodo di arricchimento contenente cefotaxima aveva
evidenziato un ceppo di E. Coli resistente. Trenta giorni dopo i batteri non
erano più presenti nell’intestino.
Il “viaggiatore 3”, un’altra donna di circa trent’anni,
aveva percorso il sud dell'India per un mese nel gennaio del 2013 , prendendo
parte a tour turistici e recandosi in visita da alcuni parenti residenti in
India. Al ritorno, a differenza degli altri due viaggiatori, aveva riportato
alcuni disturbi della digestione, ma anche lei non aveva assunto antibiotici né
visitato un centro di assistenza sanitaria durante il suo viaggio. Dai suoi
campioni sono stati isolati sei E. coli fenotipicamente distinti, dei quali
uno produceva sia le resistenze del gruppo CTX- M 1 sia il famigerato New Delhi
metallo -beta - lattamasi 1 (NDM - 1) carbapenemasi. I batteri resistenti sono
scomparsi solo dopo tre mesi dal rientro a casa.
L’esperienza dei tre viaggiatori francesi è certamente un
campanello d’allarme per le autorità nel campo della tutela della salute
pubblica. Prima di questo studio era lecito aspettarsi che fossero i pazienti
che si erano sottoposti a cure mediche nei paesi in via di sviluppo a divenire
portatori di batteri altamente resistenti. Lo studio di Ruppe et al. invece
fornisce evidenze chiare e inequivocabili del contrario. Gli ignari viaggiatori
europei possono diventare protagonisti di uno scambio colombiano all’inverso, i
batteri ospitati dai loro organismi dopo pochi mesi non erano più presenti ma,
con ogni probabilità, potrebbero essersi riprodotti e trasferiti altrove. Non
solo negli ospedali, in cui la loro presenza, anche nel nostro Paese, è ben documentata.
Ma le minacce non arrivano solo dai paesi sub-tropicali.
Proprio in questi giorni, la sindrome respiratoria mediorentale da coronavirus
(MERS) ha fatto registrare il decimo caso in Europa, il primo in assoluto In
Grecia. A trasportare il virus nel paese un ateniese di 69 anni, ricoverato in
condizioni critiche, arrivato dall’Arabia Saudita proprio qualche giorno prima
di Pasqua. Per cercare di contenere il virus, che ha un tasso di mortalità
superiore al cinquanta per cento, le autorità elleniche hanno messo in atto
misure di sicurezza straordinarie, come la quarantena per tutti i passeggeri
dell’aereo, per i familiari dell’uomo e per il tassista che lo aveva portato a
casa.
Un dramma personale con un risvolto planetario. La lotta
alle infezioni e ai batteri che rischiano di riportare la medicina all’era
pre-antibiotica non potrà più limitarsi solo al fronte domestico ma dovrà
necessariamente arricchirsi di nuove opzioni terapeutiche e di strumenti di
screening più efficienti per tenere il passo dei flussi migratori della
globalizzazione.
Leggi lo studio dell’ECDC
Crosby, Alfred W. The Columbian
Exchange: Biological and Cultural Consequences of 1492. Westport, Connecticut: Greenwood Publishing Co., 1972
Fonte: AIFA
29/04/2014